Di fronte ai risultati di questo negoziato è doveroso fare due premesse: la prima è che non si tratta di una partita di calcio, dove ci sono due contendenti e dove uno vince e l’altro perde. Quando si tratta di negoziati si cerca il compromesso migliore, tenendo a mente le armi che uno ha a disposizione e da dove si parte. La seconda è che siamo solo al primo tempo, poiché l’adozione del Recovery Fund è tutta da scrivere.
Partiamo dalle posizioni di due settimane fa all’Eurogruppo, quello saltato dopo 16 ore di trattativa. Da una parte i governi di Olanda e Germania facevano blocco, provando a forzare i lavori con una proposta su tre gambe: i 410 miliardi del Fondo Salva Stati (noto come Mes puro), il piano per la cassa integrazione della Commissione Europea da 100 miliardi (Sure) e la Banca Europea degli Investimenti (Bei) con circa 200 miliardi per le imprese. Dall’altra il fronte dei 9 paesi con in testa Italia, Spagna e Francia che ponevano la questione dell’emissione di eurobond, un primo passo verso una mutualizzazione di un debito futuro e di “vero” bilancio europeo. I francesi, poi, nei giorni scorsi hanno presentato un piano più vicino alle sensibilità del governo tedesco, il Recovery Fund o Recovery Bond, ma sempre sui binari dell’emissione di un debito comune come chiesto dall’Italia e dagli altri paesi.
L’accordo firmato ieri sera prevede l’accettazione delle tre proposte di Olanda e Germania, con la variazione del Mes, che ora non prevede condizionalità nel campo sanitario e quindi la possibilità di potere spendere molto e come si vuole in salute, cura e prevenzione. L’Italia e la Spagna hanno tra l’altro già fatto sapere che non chiederanno soldi per materie dove è prevista la condizionalità del Mes, cioè condizioni simili a quelle chieste alla Grecia nel 2011. A queste tre gambe si aggiunge l’accordo su un Piano di Rilancio dell’economia europea da scrivere nei prossimi giorni. Dunque un nuovo punto, un accordo su 4 gambe e non più su tre. Da questo deriva la premessa iniziale, cioè che il secondo tempo è ancora da giocare, e la costruzione nei prossimi giorni del Recovery Fund e del come finanziarlo, cosa non scontata ma di vitale interesse per l’Italia e gli altri paesi, compresa la Francia, è ora sul tavolo dei lavori del prossimo incontro dei Capi di Governo.
Una volta capito questo si possono tirare delle considerazioni. La prima: i governi di Germania e Olanda sono su posizioni imbarazzanti, identiche a quelle dei sovranisti di casa loro, quelli che in teoria dovrebbero essere amici di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni, e che in questi giorni probabilmente avranno finto di non conoscere.
Seconda considerazione: mentre in Olanda i sondaggi danno i favorevoli agli eurobond al 35%, in Germania è l’esatto opposto. Verdi, Socialdemocratici, liberali e una parte importante dei cristianodemocratici, il partito di Angela Merkel, hanno negli ultimi giorni sposato l’investimento comune. La maggioranza dei tedeschi capisce cioè la straordinarietà del problema e vuole fare la propria parte; fatto nuovo e dirimente. In particolare, i Verdi tedeschi, seconda forza nel paese, sono determinati a sostenere una forma di bond europei che aiutino nella fase di ripresa i paesi più in difficoltà.
Terza considerazione: per gli europeisti duri e puri come chi scrive, l’ostracismo dimostrato dal governo olandese è imbarazzante. Per tutto ciò che rappresenta di contrario alla visione europea, a una prima condivisione del debito, che non significa accollarsi i tanti errori italiani del passato ma avere una visione comunitaria e di condivisione.
Quarta considerazione, tutta italiana. Dobbiamo metterci in testa che a livello europeo e internazionale la coerenza e il rispetto dei patti contano, eccome. Mi riferisco in particolare alle continue invettive e scorciatoie paventate da una parte del paese che arriva persino a ad auspicare un ritorno della lira. Per essere chiari, aprire a un ritorno alla Lira con 2.100 miliardi di euro di debito, in parte oggi acquistato a tassi ridicoli dalla Banca Centrale Europea, è il preludio alla catastrofe. Purtroppo la nostra immagine si è deteriorata dall’inizio degli anni 2000, da quando il piano di diminuzione del debito prospettato da Carlo Azeglio Ciampi fu abbandonato. Erano gli anni precrisi, gli anni dove alcuni governi sminuivano l’Europa, gli anni in cui si dava della “culona” a un capo di governo e dove il ministro Tremonti invece che mantenere l’avanzo primario ai livelli dei governi di fine anni 90 (2,5-3%) si lanciava in azzardate riflessioni economiche. Gli anni in cui si è tollerata l’evasione fiscale a piccoli e grandi livelli, gli anni in cui il debito sarebbe dovuto scendere sotto il 90% permettondoci di affrontare la crisi imprevista del 2010 con le spalle coperte ed evitandoci gli ultimi 10 anni sul dove e come tagliare la spesa pubblica. Se non ricordiamo questo, non capiremo neanche dove nasce la diffidenza, a volte pretestuosa è vero, non verso il Belpaese ma verso chi lo governa.